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 | Il Santo Concilio comanda ai vescovi e a coloro che hanno la 
        funzione e l'incarico di insegnare [...] di istruire con cura i fedeli 
        sugli onori dovuti alle reliquie [...], mostrando loro che i corpi santi 
        dei martiri e degli altri santi, che vivono con il Cristo e che furono 
        membra viventi di Cristo e tempio dello Spirito Santo [...], attraverso 
        cui benefici numerosi sono accordati da Dio agli uomini, devono essere 
        venerati dai fedeli.   I 
        decreti del Concilio di Trento 984 e 985, che fissano le linee 
        di fondo della dottrina cattolica sulle reliquie, rappresentano il punto 
        di arrivo di un processo, che affonda le sue radici nella pietas 
        dei primi cristiani verso il corpo dei martiri. Essa riflette, almeno 
        alle origini, non tanto il culto riservato dal mondo grecoromano agli 
        eroi-culto che, al tempo in cui apparve il cristianesimo, mal si distingueva 
        da quello riservato agli dèi -, quanto piuttosto gli usi funerari 
        normali. Essi consideravano la sepoltura, la cura del corpo del defunto, 
        le feste commemorative della morte, come doveri sacri; leggi rigorose 
        proteggevano il luogo della sepoltura come luogo sacro, ne vietavano la 
        profanazione e impedivano lo spostamento del corpo. L'importanza che il 
        martirio assunse nella teologia, nell'apologetica, nella vita dei cristiani 
        dei primi tre secoli sviluppò un vero culto dei martiri e delle 
        loro reliquie, di cui il documento più antico è ìl 
        Martyrtum Policarpi.
 Nel culto delle reliquie - soprattutto per quanto riguarda gli sviluppi 
        successivi al III sec. - confluisce, accanto alla pietas funeraria 
        amplificata dalle dottrine relative al martirio e alla santità, 
        anche l'idea che la potenza salvifica degli uomini di Dio sia un qualche 
        cosa di fisico, che rimane inerente al corpo, vivo o morto, del santo, 
        e che, da questo, possa trasmettersi agli oggetti che, in forme più 
        o meno dirette, ne sono venuti in contatto. È una concezione molto 
        antica, che si trova nella tradizione giudaico-cristiana (ad esempio, 
        in 4 Re, 2,14, il prodigio operato dal mantello di Elia, ripreso 
        dal miracolo evangelico dell'emorroissa. In Luca, 8, 46, Gesù 
        dice: Qualcuno mi ha toccato. Ho sentito che una forza è 
        uscita da me), ma che è precedente ad essa e riflette una 
        concezione magica delle reliquie.  Se, 
        da un punto di vista dottrinale, i pronunciamenti ufficiali della 
        chiesa non hanno mai cessato di insistere sul fatto che il culto reso 
        ai santi consiste in onori riservati a uomini di cui si vuole celebrare 
        la particolare unione con Cristo, e che i miracoli sono compiuti non dalle 
        reliquie, ma da Dio attraverso di esse, tuttavia, a partire 
        dal IV sec., i comportamenti concreti e generalizzati, che portarono a 
        uno sviluppo abnorme ed incontrollabile delle reliquie, sembrano 
        piuttosto allinearsi con la concezione poco sopra esposta.
 Se le sedi di più antica cristianizzazione disponevano di numerose 
        ed autentiche reliquie dei martiri, le nuove sedi (ad esempio Costantinopoli) 
        le ottennero mediante traslazioni o smembramenti dei corpi, secondo 
        un uso proibito dalle leggi imperiali (Codice Teodosiano, IX, xvn) - che 
        fu prevalentemente orientale fino all'VIII sec. per divenire in seguito 
        generalizzato.   Nel 
        IX sec. troviamo un papa, Pasquale 
        I (817-824), che fa spostare dentro Roma duemilatrecento corpi, che 
        distribuisce fra le diverse basiliche. L'idea che il possesso del corpo 
        di un santo costituisse, per la città, il villaggio, la basilica, 
        un presidio insostituibile contro le malattie, le calamità, 
        i disastri di ogni genere, i disordini, l'eresia e fosse un elemento insostituibile 
        per la promozione e la fama di un luogo di culto, moltiplicò le 
        inventiones di corpi attribuiti ai santi, nella maggior 
        parte dei casi, sulla base di indicazioni derivanti da sogni, visioni 
        o altri tipi di segni (ad esempio il profumo) miracolistici. Talora l'ansia 
        di possedere il corpo di un santo diede luogo a contese ed a furti 
        veri e propri.
 Tra il VI e il VII sec., soprattutto in Gallia e nell'Italia settentrionale, 
        si sviluppò il culto delle reliquie di contatto: gli abiti 
        del santo, gli strumenti che ha usato, ma anche la pol vere grattata dal 
        suo sepolcro, perfino l'olio della lampada che lo rischiara.  La conquista della Terrasanta (1204) aumentò ulteriormente 
        la massa delle reliquie, facilitandone gli abusi: la compravendita 
        di reliquie, la loro falsificazione, l'esistenza di reliquie multiple 
         (ad 
        esempio le diverse teste di Giovanni Battista, di cui una si troverebbe 
        a Roma, un'altra in Francia, un'altra ancora a Damasco, meta dio pellegrinaggi 
        musulmani). Abusi che, periodicamente, hanno suscitato critiche al culto 
        delle reliquie, considerato dai suoi detrattori, interni (la prima documentata 
        è quella del prete di Tolosa, Vigilantio, anno 403) ed esterni, 
        come espressione di idolatria pagana e di sciocca superstizione. Il testo, cui sono stati aggiunti i neretti e le interruzioni di paragrafo, 
        è tratto dal Dizionario delle religioni, Einaudi, Torino, 1993 
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