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Antologia critica di S. Costanza

G. Byron, 1805:

"Il Goto, il Cristiano, il Tempo, la Guerra, le Acque, il Fuoco hanno agito sul l'orgoglio della Città dei sette colli; essa vide le sue glorie spegnersi, astro per astro, e su per la salita ove il carro trionfale ascese il Campidoglio, vide cavalcare monarchi barbari; lungi, per ogni dove, caddero templi e torri, né lasciarono vestigia; un caos dì rovine [...] ma Roma è come il deserto - in cui ci dirigiamo, incespicando contro ricordi: ed ora battiamo le mani, e gridiamo 'Eureka!' 'E chiaro' - allorché appena qualche falso miraggio di rovina ci sorge al lato".

Stendhal, 1827:

"Alcuni archeologi pretendono che il battistero, oggi chiesa di Santa Costanza, sia un ex tempio di Bacco perché sulla volta circolare si vede un mosaico di smalti che rappresenta putti e grappoli d'uva. Ma i cristiani dei primi secoli usavano spesso questi simboli. L'edificio è databile al periodo di estrema decadenza della architettura, quando l'arte aveva raggiunto il punto più basso di tutta l'antichità [...] Qui dentro siamo stati ancora una volta toccati da quel rispetto per le antichità cristiane che spesso invade i nostri cuori nonostante il ricordo di tutto ciò che i cristiani sono poi stati capaci di fare non appena sono stati loro i più forti".

C. Cecchelli, 1924:

"Sebbene spoglia di gran parte dei suoi adornamenti, S. Costanza ci offre ancora il più bello ed antico esempio di mausoleo imperiale. Scoperchiato quello di Augusto, squarciato quello di S. Elena a Tor Pignattara, ridotto a fortezza quello di Adriano, rasati al suolo quelli della basilica di S. Pietro ed un altro già esistente in Milano, distrutti anche quelli di Costantinopoli, non ci rimangono che S. Costanza in Roma e il mausoleo di Galla Placidia in Ravenna. Quest'ultimo conserva tutta la sua fascinante veste musiva, ma è di proporzioni minori ed è più recente di circa mezzo secolo. Mezzo secolo che divide nettamente due periodi artistici. Nel primo è ancora il paganesimo che presta i suoi miti e le sue figurazioni mistiche, nel secondo si è già consolidata un'arte schiettamente cristiana"."Sebbene spoglia di gran parte dei suoi adornamenti, S. Costanza ci offre ancora il più bello ed antico esempio di mausoleo imperiale. Scoperchiato quello di Augusto, squarciato quello di S. Elena a Tor Pignattara, ridotto a fortezza quello di Adriano, rasati al suolo quelli della basilica di S. Pietro ed un altro già esistente in Milano, distrutti anche quelli di Costantinopoli, non ci rimangono che S. Costanza in Roma e il mausoleo di Galla Placidia in Ravenna. Quest'ultimo conserva tutta la sua fascinante veste musiva, ma è di proporzioni minori ed è più recente di circa mezzo secolo. Mezzo secolo che divide nettamente due periodi artistici. Nel primo è ancora il paganesimo che presta i suoi miti e le sue figurazioni mistiche, nel secondo si è già consolidata un'arte schiettamente cristiana".

G.C. Argan, 1936:

"Le duplicate colonne, reggenti una complessa trabeazione, inserendosi trasversalmente proprio ai confini della luce e dell'ombra, accentuano con effetti luministici l'intensità pittorica del contrasto. E poiché proprio nel colonnato si risolve l'opposizione di spinte e controspinte, il maggior contrasto di valori di luce coincide col massimo contrasto di elementi costruttivi: e il classico rapporto tra elementi figurativi ed elementi statici non determina più un risultato di supremo equilibrio, ma una drammatica opposizione di masse, alle quali il sommario suggerimento prospettico delle trabeazioni da illimitato valore spaziale".

Giovannoni, 1937:

"Ma forse l'esempio tra tutti il più interessante delle derivazioni dal prototipo del Pantheon si ha nella chiesa rotonda di S. Costanza, poiché ivi innestasi ad un organismo architettonico che, insieme al cosidetto tempio di Minerva Medica, va considerato prezioso anello di passaggio tra le costruzioni romane a pianta centrale e quelle del periodo bizantino [...] ivi per la prima volta si ha un tamburo centrale elevato su colonne ed una corona anulare coperta da volte a botte che neutralizza in parte l'azione della cupola: soluzione analoga - salvo la forma geometrica - a quella che il secondo periodo del Medioevo giunse, dopo infiniti tentativi, a realizzare per la basilica a tre navate. Cosi dunque la cupola romana, nata come una semplice massa di concrezione, andò di mano in mano sempre più perfezionando la sua struttura e rendendo razionale la disposizione di tutti i suoi elementi, dando a ciascuno la sua funzione ed il suo posto determinato. La costruzione romana è dunque quella che con tutti i suoi elementi transmigrò per cosi dire, nell'architettura bizantina".

S. Bettini, 1937:

"Sulla fine del periodo medioromano e in quello tardoromano, la compattezza del muro d'ambito va sempre più sgretolandosi [...] Quella parete che in origine, con la sua continua unità, definiva la sostanzialità dello spazio centrale, si va disciogliendo in vani indipendenti, che rompono l'effetto di massa chiusa e definita dello spazio di mezzo. Parallelamente, si pronuncia un'alterazione nel rapporto tra cupola e muro cilindrico sottostante: la cupola non forma più unità con cotesto muro, non vi grava più con tutto il suo peso, ma si stacca da esso, appoggiandosi sulle sporgenze esterne delle nicchie. Tra muro e cupola s'inserisce, sempre più snodato, il tamburo, che toglie alla cupola il senso diretto e preciso del peso, il quale viene sgravato al di fuori dello spazio centrale, ciò che pure contribuisce a disciogliere ancor più il 'corpo' sostanziale dello spazio [...] In S. Costanza la cupola si emancipa completamente dal muro perimetrale e viene appoggiata su un anello centrale isolato, retto da archi e da colonne. In altre parole: quelle pareti massicce, che in origine definivano la sostanzialità del corpo dello spazio, ora si sono disciolte: lo spazio centrale non è più racchiuso da una parete continua, ma da un cerchio pur esso di spazio; ha quindi perduto il suo carattere corporeo, e viene limitato soltanto da un manto atmosferico di penombra. Giacché anche il sistema di illuminazione è sempre in accordo con cotesto mutarsi del senso spaziale. In S. Costanza, la luce, piovente dal tamburo della cupola, s'accentra nel vano di mezzo definendolo otticamente; l'ambulacro invece rimane in ombra e con ciò accentua il suo significato di involucro. La luce, radendo i profili delle trabeazioni e delle interne colonne, ricostituisce l'unità, ma un'unità puramente ottica, della parete dello spazio interno; mentre il valore limitato di questo è sottolineato dalle indicazioni prospettiche delle trabeazioni, che irraggiano verso l'esterno, perdendosi nella penombra indefinita dell'ambulacro".

G. De Angelis D’Ossat, 1940:

[In S. Costanza] "Possiamo ritenere che le speciali coperture alleggerite siano state poste per due ragioni di carattere pratico talvolta coesistenti. Quando cioè la leggerezza dei materiali impiegati nella cupola non permetteva sovrapposizione di un manto pesante e, d'altra parte imponeva la necessità di una copertura indipendente per difendere la cupola dagli agenti atmosferici [...] Il sistema delle costolature giunge alla sua più efficace espressione, giacché gli archi meridiani della cupola poggiata arditamente su un colonnato, sono massicci e situati in corrispondenza delle colonne binate sottoposte. La cupola mostra perciò completamente attuata quella divisione in elementi massicci resistenti ed in elementi leggeri di riempimento che è alla base della tecnica di tante importanti epoche costruttive".

A. Prandi, 1942:

"Credo impossibile, o almeno artificioso, considerare la rotonda in sé, prescindendo dal grande campo a umazione antistante. A questo essa è coordinata, come elemento di massima visibilità, quasi edificio cui il grande recinto è atrio, architettonicamente parlando. E nella preponderanza dell’asse trasverso, cioè nell’allargarsi laterale delle visuali, ciò che echeggia poi nel portico a forcipe della rotonda, è un’affermazione indiscutibile di gusto prettamente romano [...] Come pure può dirsi decisamente romana la forma centrale, valutando senza sottigliezze tali schemi manualistici ... Attraverso le mediazioni visive dello spazio definito dalle murature principali, alla pura geometria stabilita semplicemente dall’ambito costruttivo, si sovrappone un valore pittorico o almeno pittoresco [...] cioè un giuoco di luci e di ombre che affievolisce quella semplicità o, se si vuole, quell’assoluta forma schiettamente strutturale. Con ciò si verifica, insomma, un palese apporto ellenistico, quello stesso che il Tosca sentirà tanto chiaramente nella ‘complicazione’ delle piante di quest’epoca onde si caratterizzano gli edifici del tardo Impero".

A. Prandi, 1942:

"E' recente anche la questione sull'uso dell'edificio, se, cioè, fu mai battistero. Questione che, se appare oggi superata, può facilmente tornare a porsi, mancando tuttora una convincente spiegazione su gl'impianti idraulici trovati sotto il pavimento".

Perrotti, 1956:

"Secondo l'ipotesi formulata dal Deichmann i ruderi esistenti non appartengono ad un recinto destinato a campo di inumazione, ma rappresentano quanto ancora rimane della basilica costantiniana sulla via Nomentana. Tale ipotesi, accolta con molte riserve, poteva trovare negli scavi la sua conferma o poteva essere opportunamente modificata. Un edifìcio basilicale che presenti tali caratteristiche poteva sembrare inconcepibile alcuni decenni or sono, prima che si facesse luce sulla varietà assai grande delle forme architettoniche paleocristiane".

* I testi, con i neretti, sono tratti da Schivo, 1984.

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